mercoledì 21 novembre 2012


Successo e riconoscimento nella società moderna.


Sul successo ed il riconoscimento sociale, ho una mia personale teoria per cui il non vincere è "il riconoscimento" in una società cresciuta ed educata da un sistema collaudato e perfezionato nei secoli, con pensiero e coscienza plasmati dai poteri dominanti e, valori spesso opposti a quelli enunciati, dichiarati o anche solo accennati da questi "cattivi maestri" (artisti intellettuali) del nostro tempo, il cui compito è quello di scuotere, far vibrare, mettere in movimento quelle corde invisibili che uniscono la coscienza al pensiero.
L'artista di successo è l'artista compreso, rappresentativo del pensiero della maggioranza della società, il cantore dei valori dell'esistente il quale non può non esprimersi che all'interno di un campo intelletivo, culturale e di sentimenti rasente la superficie di queste qualità umane, quindi inevitabilmente "superficiale".
Ogni altra espressione muovendosi verso la profondità è inversamente proporzionale alla quantità di persone capaci di comprenderla o condividerla.
Se la società comprendesse o condividesse le loro critiche (processo che chiaramente dovrebbe essere voluto dal potere o da parti di esso), non sarebbero dei "grandi intellettuali" (o lo diverrebbero al servizio di un potere, se addirittura non "usati" da esso), se essi riuscissero a cambiare la società sarebbero dei messia (e, a parte il fatto che non credo ad alcun messia, oggi potrebbero essere eliminati senza più diventare degli idoli pericolosi), sono invece, sempre secondo me, quella categoria di artisti, intellettualmente forti e che camminano qualche passo dietro le avanguardie.
Ognuno di noi ha, nel tempo, diversi livelli di comprensione dei sistemi (oltre la capacità di relazionare eventi diversi tra loro), ognuno riesce a capire e leggere, interpretare la realtà o un rango di fatti e pensieri limitato ma (propongo un'allegoria), chi spinto dalla curiosità o dal dubbio, si mette in punta di piedi riesce a intravedere oltre una certa linea e, da lì impara che se salta un pò, riesce a vedere oltre l'ostacolo, più avanti, cose che prima nemmeno immaginava esistessero e questo allenamento, assieme ad una particolare sensibilità (forse la più importante discriminante, escludendo le influenze socio-biologiche), ci fa crescere portandoci sempre più avanti (non in alto, anche se si rischia di cadere in quest'inganno).
Nel secolo passato Sciascia, Pasolini, Gaber, Strasberg, De Filippo, ma anche De Andrè, M.Davis, Dylan, Lennon, Picasso, etc..in altri campi, in una scala sempre orizzontale e in diverse posizioni, sono stati alcuni dei critici più lucidi, attenti sezionatori dei meccanismi della loro contemporaneità, quelli che l'hanno letta e descritta con più chiarezza, i nostri maestri "elementari" (nel senso che ci hanno fornito la base del senso critico, che ci hanno attivato il canale di collegamento tra coscienza e pensiero e le sue infinite possibilità di sviluppo, tutte cose che la scuola non ci insegna, coerentemente ai dogmi della società tradizionale), coloro che ci hanno fornito gli stumenti per codificare un altro linguaggio ed allenarci ad aprire le porte della percezione verso le avanguardie altrimenti incomprensibili (indimenticabili gli inizi quando, affascinati, riusciamo a coglierne, a tratti un frammento di messaggio o quella seduttiva visionarietà), lo scalino per raggiungere il trampolino di una conoscenza più alta (questa sì) o più profonda.
Le espressioni delle avanguardie fra caos, anarchia e surrealismo, attraversano la nostra realtà come una stonatura, una distorsione, un'anomalia, illuminando a sprazzi, ad intermittenza le coscienze e, scambiate spesso per "trasgressione", restano incomprensibili al proprio tempo (all'uomo medio o mediocre, privo di pensieri che non siano conformati, educato da secoli ad una formazione all'obbedienza coltivata nella paura), mentre hanno una funzione simile al monolito di Stanley Kubrick (ed alcuni temi dominanti del pensiero di Nietzsche), ovvero spingere l'essere umano ad una "evoluzione" (di pensiero e azione, non solo un salto di coscienza ed intellettivo, che spesso la consapevolezza fatica a vedere, capire ed accettare) verso il superuomo (che in Matrix è rappresentata in parte sotto forma di metafora individualistica, dell'eroe, quindi ambigua, rispetto al vero significato, alla comprensione della "filosofia" del superuomo e pericolosa, come lo fu nell'uso che ne fece l'ideologia nazista, e quì sta la discriminante tra chi si è formato criticamente con "cattivi maestri" e chi con il pensiero tradizionale o secolare) o l'uomo che trascende (nel senso di una consapevolezza inconscia) ogni esperienza precedente.
Concludendo quindi non la gratificazione del riconoscimento "sociale", ma la speranza (consolatoria) dell'appagamento nel riuscire, prima di morire, a vedere il "nuovo bambino" (puro) al quale egli ha dato vita, far ritorno verso l'origine portando in sé il futuro.
C.V.

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